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Riappropriarsi di giugno: il Sacro Cuore

La breve riflessione che potrete apprezzare - o mal sopportare, se preferite - nelle prossime righe poggia su un saldo assunto dei miei ultimi anni di vita: la mia coscienza spirituale. Sono credente e praticante, una sorta di specie in via d'estinzione per intenderci.


È negli ultimi anni che ho evoluto il mio credo, attraverso un percorso prettamente personale che non ritengo necessario condividere. Sarebbe troppo facile parlare di ciò che apprezzo della mia coscienza religiosa: per tale motivo preferisco, risultando magari anche più interessante, esprimervi la soggezione che mi crea avere determinati concetti insiti nella mia persona e vivere quotidianamente all'interno dell'attuale società.


Giugno è un ottimo mese per presentare una riflessione morale a tinte spirituali per una lampante contrapposizione che viviamo quotidianamente in questo mese ma di cui difficilmente ci accorgiamo. Giugno solitamente è, da un lato, per i più che non lo sanno, il mese della Festività del Sacro Cuore di Gesù e, dall'altro, il mese del Gay Pride. Per rendere più comprensibile alla moltitudine il significato di tale antitesi, basta porsi e rispondere alla seguente domanda: «Come risponde - o sta rispondendo - l'umanità all'amore, simboleggiato dal Suo Cuore appunto, del Salvatore verso gli uomini?» La risposta è semplice: con l'orgoglio (fate caso al significato del termine Gay Pride). Il peggiore dei 7 vizi capitali, sintomo di totale mancanza di umiltà e gratitudine nei confronti di Dio. All'amore l'umanità risponde ingratitudine. All'amore l'umanità risponde con blasfeme manifestazioni per rivendicare non si capisce ancora bene quale diritto. È divertente, tra l’altro, pensare a come i fine settimana dell'orgoglio LGBT annoverino tra i loro sponsor una sfilza di multinazionali, le stesse che licenziarono per motivazioni deprecabili i loro lavoratori in periodo covid (alla faccia dei diritti, vero?), e vengano spesso patrocinate dalle nostre stesse amministrazioni locali. Tutto fuorché una mancata tutela di diritti, a mio parere, no?


Ma scendere per le strade sventolando bandiere arcobaleno non è l’unico grande gesto di totale ingratitudine che stiamo mostrando nei confronti di chi ha plasmato, che piaccia o meno, la cultura e la morale occidentale. Non è necessario, infatti, essere credenti per arrivare ad ammettere che la società nella quale viviamo poggia su delle salde – a dir la verità sempre meno ormai – radici poste secoli fa da Colui che ha dato Sé Stesso per salvare l’umanità. Tutti gli assunti morali, dal rispetto per la famiglia e del prossimo all’amore per la vita, passando per il significato della sofferenza, tipici della morale cristiana stanno, nel tempo, col beneplacito della moltitudine, venendo dimenticati o, se preferite, volutamente cancellati e calpestati. Peggio ancora è il rivendicare con “orgoglio” questo distaccamento.


Pare che nei primi giorni del mese di giugno di quest’anno tutti, dai giornalisti ai giovani influencer, nella loro rumorosa insignificanza, sentano il bisogno di mostrare questo forte distacco dal buon senso vero e proprio. È di pochi giorni fa il vergognoso tweet di Fabio Salamida, giornalista di Wired e prima ancora di HuffPost (tanto basterebbe a qualificare il soggetto), nel quale, parlando dell’omicidio della giovane Giulia Tramontano, accusa la “famiglia tradizionale” di essere il mandante di tale strage. Da “Onora il Padre e la Madre” ad “accusali di essere i mandanti di un duplice omicidio” il passo è molto più breve di quanto si possa pensare.


Ancora più fresca è, invece, l’uscita dell’ex giovane partecipante al programma RAI Il Collegio, Maria Sofia. Colei che voleva cambiare il mondo dal basso della sua tenera età – come da sua stessa ammissione nell’intervista di presentazione al suddetto programma - ed è finità poi a vendere foto su OnlyFans: difficile fare la rivoluzione effettivamente, molto più semplice fare la femen (s)venduta al Capitale. In una live su YouTube si esprime in tali termini: «La vedo come una cosa che va normalizzata, anzi credo che sia un fallimento della cultura il fatto che l’incesto sia ancora visto come un tabù». FanPage – chi lo avrebbe detto mai? – tenta di sistemare la situazione della “povera” Maria Sofia concedendole una intervista nella quale si cerca, come se fosse possibile, di calmare le acque attorno alla ragazza. Peccato che lei nell’intervista riesca a peggiorare la sua posizione sostenendo sostanzialmente che potremmo arrivare a «ripensare il concetto di famiglia». Intendendo tale ripensamento nell’ottica di una possibile accettazione dell’incesto.


Maria Sofia e Salamida sono due personalità sulle quali non dovremmo minimamente soffermarci, lo ammetto, ma, d’altra parte, è aberrante che due menti – teoricamente pensanti – possano concepire certi concetti. In fondo, lo abbiamo permesso tutti, la Chiesa in primis, quando negli anni passati, di fronte a uscite anche meno eclatanti e vergognose delle precedenti, abbiamo preferito il silenzio perché molto più comodo rispetto a una strenua difesa dei nostri valori fondativi.


Anche noi abbiamo peccato di un grosso male: l’ignavia. In pochi – e spesso marginalmente – si sono fatti sentire per cercare di dare una scossa alle coscienze intrise di valori derivanti dalla morale cristiana. Da ciò si evince quanto sia facile prendersi gioco dell’uomo cristiano o di chi, pur non credendo, si fa portatore di valori morali tipici del cristianesimo. È persino la chiesa (volutamente con la lettera minuscola), attraverso suoi esponenti, nonostante le ingiurie ricevute dalla fetta della popolazione che ama definirsi “buona e progressista” a difendere determinate posizioni. È recente il tweet di Padre Martin, gesuita attivo sui social, nel quale si difende il Gay Pride e con esso, quindi, le volgarità annesse.


Comprensibile, perciò, in questo clima di totale menefreghismo per il pudore, rispetto e, senza paura di essere smentito, amoralità anche come sia ormai accettato che nel mese di giugno, durante le manifestazioni per rivendicare “i diritti”, tra le principali associazioni che la fanno da padrona ci sia quella che prende il nome di Mario Mieli, teorico degli studi di genere, che scrisse, sostanzialmente, nel suo Elementi di critica omosessuale che gli omosessuali sono coloro che possono fare l’amore coi bambini.


Pedofilia? Sdoganata. Noi tutti? In silenzio. Se tutto ciò passa in sordina come può effettivamente apparirci strano che sempre meno l’uomo occidentale riesca a cogliere l’importanza di altri assunti come, per esempio, il significato della sofferenza? Non stupisce che in paesi come l’Olanda venga praticata l’eutanasia di coppia piuttosto che dare una concreta assistenza alle famiglie in gravi condizioni o ai partner che faticano a prendersi cura del proprio caro gravemente malato. La società odierna chiede di poter morire per non provare più alcun tipo di sofferenza, colpevolizza l’amore tra padre e madre, capace di creare nuova vita, di essere il mandante di un omicidio, si domanda se non sia possibile rileggere la famiglia sotto una nuova chiave di lettura che permetta di accettare l’incesto e accondiscende al fatto che nei propri centri città sfilino associazioni che si rifanno alle idee di pedofili seriali.


La società rivendica con “orgoglio” la necessità di tutto questo e continuerà a farlo, sempre con maggior superbia, dimentica del fatto che «la superbia precede la rovina», Proverbi 16:18-19. Il messaggio, ovviamente, non è quello di diventare tutti credenti: nessuno ha mai ipotizzato questo. Piuttosto sarebbe auspicabile una presa di coscienza per capire che, non sempre, il “progresso”, così come inteso da chi ama definirsi aperto e buono, sia fautore di positività. Cogliamo il significato religioso del mese di giugno per riappropriarci di un po’ di gratitudine e per abbandonare un pizzico d’orgoglio. Potrebbe essere il punto di partenza per riappropriarci della vera essenza morale della vita, prima che questa ci scivoli di mano senza più alcuna possibilità di ritorno.


Manuel Mariani

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