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Roma Urbs Aeterna

«Dimmi cos’è?», così apre una delle canzoni più celebri dedicate a Roma di Antonello Venditti.


A 2776 anni dalla fondazione non siamo ancora stanchi di celebrare l’Urbe, ella fu la culla della Civiltà intesa così come noi la conosciamo ancora oggi e, per tanto, il suo segno rimarrà indelebile in eterno lungo tutta la storia dell’umanità.


Quella di Roma è una storia contrassegnata dall’essere avanguardia: il diritto, la sanità, i ponti, gli acquedotti, le strade, i servizi pubblici, la lingua, la letteratura, lo sviluppo tecnologico, le infrastrutture, la navigazione e l’arte bellica sono solo alcuni dei doni che i padri latini lasciarono ai loro discenti europei, mediorientali e africani.


Ciò che più colpisce dei documenti che ci hanno lasciato è la fedeltà indefessa - nonostante e oltre gli interessi privati e gli intrighi politici- di amministratori e soldati alla Città, ai suoi vexilia e alle sue Istituzioni.


Ma la fedeltà a Roma, al contrario di ciò che sarà con la modernità, era anche fedeltà di popolo, celeberrima la siglia SPQR, Senatus PopulusQue Romanus, Il Senato e il popolo, il concetto cardine tanto della Roma repubblicana quanto di quella monarchica e imperiale che faceva del romano un tutt’uno con lo Stato.


E i romani erano ben consapevoli del loro ruolo di padri e scrittori della storia Occidentale, ne sono esempi Marco Anneo Lucano che, all’apice dell’espansione territoriale, diceva di Roma, nella Farsaglia, «caput mundi» e Ovidio che negli Amores scriveva «Tityrus et fruges Aeneiaque arma legentur, Roma triumphati dum caput orbis erit», ovvero Titiro e le messi e le armi di Enea si leggeranno finché Roma sarà la capitale del mondo soggiogato.


Se l’Impero d’Occidente sembra cadere nel 476 D.C., la gloria e i fasti antichi della città sono subito le fondamenta della Roma papale, così come del resto Mitra Sol Invictus sarà segno di Cristo e la romanità interpretata come preludio della cristianità; ma il magistero dell’Urbe è tanto spirituale quanto sociale. Gli oltre mille anni di civilizzazione avevano fatto delle innumerevoli popolazioni di stirpe indoeuropea che abitarono la penisola nell’Età del Ferro, un’unica identità italica che, pur declinata in maniera originale all’interno di ogni entità politico-amministrativa, si rifletteva in quella omogeneità culturale che sarà la fortuna degli italiani.


Se durante il primo medioevo, contesa tra i popoli germanici e gli amministratori di Costantinopoli, la Città assistette a un progressivo declino urbano e amministrativo e con lo Stato Pontificio e il Rinascimento seppe recuperare grande parte della propria gloria, fu con la conquista e l’annessione al Regno, durante il Risorgimento, che la città tornò capitale della penisola e guida di quell’identità che aveva saputo forgiare nei secoli antichi.


Roma sembra essere una perfetta sintesi dell’identità italiana. Il proverbio dice: “tutte le strade portano a Roma”, anche le strade del destino.

Perché che il destino d’Italia non avrebbe potuto essere che Roma è un’idea sempre esistita, che ha vissuto attraverso coloro che nel corso della storia auspicavano l’unificazione territoriale della penisola. Fra tutti, ricordiamo i celebri versi di Dante: Vieni a veder la tua Roma che piange vedova e sola, e dì e notte chiama: «Cesare mio, perché non m'accompagne?» "Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!"


Il sogno tanto atteso dal popolo, da intellettuali, da artisti e da filosofi di rivedere l’Italia unita sotto il controllo di Roma si avvera con l’unificazione d’ Italia, grazie al riconoscimento di Camillo Cavour: “Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia”.

Oggi Roma ancora affascina con il suo splendore, raramente una città vanta di poter mostrare tutti gli strati della sua storia: dai Fori Imperiali all’Altare della Patria, dal Circo Massimo alla Fontana di Trevi, dal Pantheon alla Basilica di San Pietro, dai bagni Caracalla a Villa Borghese, dal Colosseo a Castel Sant’Angelo. Paradossalmente, la vista di Roma è in grado di incutere nel cuore dello straniero incolto tutta l’imponenza e la gravitas della sua storia; nulla a che vedere con le altre capitali europee. Certo, bellissime Parigi, Vienna, Londra e Berlino ma infinitamente più bella è Roma.


Il valore della Capitale non è invenzione dei poeti, dei filosofi o dei pensatori identitari; è prima di tutto un sentire popolare, canzoni come Roma Capoccia, che si apre con «Quanto sei bella Roma».


Tanti sono gli artisti che l’hanno cantata, scriveva Renato Zero:

È bello respirarti.

Difenderti, servirti.

E ringraziamo il cielo che ci sei…

che ancora sai stupirci.

Sei fragile ed Eterna.

Scriveva Franco Califano:

Me ‘nnamoro de te se no che vita è

Lo faccio ‘n po’ pe’ rabbia un po’ pe’ nun sta solo come sta solo ‘n omo nella nebbia perché nun po’ parla’ manco cor cielo…

Scriveva Gabriella Ferri:


Sotto un manto di stelle roma bella mi appare solitario il mio cuor disilluso d’amor.


E ancora, scriveva Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano, immaginando un’epistola dell’imperatore, «altre Rome verranno, e io non so immaginarne il volto; ma avrò contribuito a formarlo. Roma vivrà, Roma non perirà che con l’ultima città degli uomini».

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