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Sala si rifiuta, allora La Russa porta la maternità in Senato: la lupa sorride

Chissà cosa direbbero di noi i nostri antenati.


Per una volta, il tema è così assoluto che possiamo condurre il discorso conservatore così indietro, quasi fino alla notte dei tempi, da raggiungere, almeno con il pensiero, i nostri primi padri, gli uomini che abitavano la terra nel Paleolitico inferiore; quegli uomini (privi di ogni sovrastruttura ideologica) per i quali, non appena approcciatisi all’arte figurativa, fu naturale, spontaneo, “scontato” celebrare la maternità.


E così, lo abbiamo studiato tutti, le più antiche sculture della nostra storia sono le veneri: donne e madri. E il femminile, il materno, permeò pure la cultura patriarcale dei nostri avi indoeuropei, innumerevoli le manifestazioni del divino femminile nei pantheon. E il femminile, il materno, era lì anche quando il Dio scelse gli ebrei per rivelarsi (ancora) dopo l’esilio-oblio della cacciata: certamente un Dio padre, giudice e guerriero, ma, insieme, un Dio creatore, creatore intenzionale (novità assoluta), creatore intenzionale per amore, creatore intenzionale (per amore) di esseri destinati a deificarsi. Quindi un Dio materno.


E, infine, ma fin dal principio, una Vergine-madre. Scandalo meraviglioso: una vergine madre di un bambino, scandalo metafisico: una vergine madre di Dio, un Dio figlio, bambino e uomo.


Chissà cosa direbbero del Comune di Milano i nostri antenati: valori «certamente rispettabili, ma non universalmente condivisibili», così la Commissione comunale preposta ha rifiutato il dono della scultura Dal latte materno veniamo.


I figli dell’autrice, Vera Omodeo, avevano richiesto al Comune che la scultura fosse esposta in Piazza Duse e, dopo il rifiuto della Commissione, il Sindaco Sala, fingendo di interessarsene, aveva rilanciato con i Giardini della clinica Mangiagalli: luogo centrale ma defilato, dove la scultura avrebbe perso la sua forza risvegliatrice.


Ci si reca in chiesa sicuri di trovarvi un crocifisso, ci si converte ogni volta di nuovo quando, assorti nei propri pensieri, al termine di una camminata faticosa, giunti sulla vetta, ci si imbatte in un imponente segno di Cristo.


Sono quasi certo di cosa si siano detti i nostri antenati riguardo ai militanti di Gioventù Nazionale Milano – per correttezza segnalo che qui il cronista diviene uno degli attori della storia – che, affermando la maternità come bene universale, al rifiuto della Giunta e alla malizia del Sindaco Sala hanno risposto con la posa di una contro-statua, una riproduzione fotografica di Dal latte materno veniamo, in Piazza Duse.



Sono sicuro della gioia che hanno provato quei nostri antenati romani, di cui la lupa e i gemelli sono il segno materno e immortale, alla notizia che il Presidente Ignazio La Russa ha fatto esporre, per un mese a partire da oggi 7 maggio, la scultura all’interno del Senato della Repubblica.


Forse un giorno la post-umanità avrà dimenticato cosa fosse la maternità: non è più fantascienza o distopia pensare a un futuro di persone nate artificialmente, senza genere e senza famiglia. Chissà, magari la speranza starà nel ritrovamento di una Venere e di una Madonna o, perché no, di una replica di Dal latte materno veniamo.


Matteo Respinti



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