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Immagine del redattoreMatteo Respinti

Santo Pertini? No, grazie

Sandro Pertini, «il Presidente più amato dagli italiani», così vuole la vulgata, l’«eroe, quando c’è la televisione», secondo il giudizio del suo compagno Presidente Saragat, è tornato all’attenzione mediatica e al centro del dibattito politico perché nel Comune di Lucca, guidato dal Sindaco civico di centrodestra Mario Pardini, il Consiglio ha negato, 17 i contrari e 12 i favorevoli, l’intitolazione di una via alla sua memoria.

In noi che siamo antimoderni e che pure, come tutti i nostri coetanei, siamo quotidianamente assorbiti dal mondo dei social, l’estetica di un uomo antico come Pertini, quando immersi nel feed di Instagram lo ritroviamo protagonista di un reel macchinato per macinare like, non può che risuonare amica e familiare.


Vediamo un Pertini, alle volte anche un Craxi, e pensiamo – o almeno penso io – al nostro Giorgio Almirante. Riflettendo bene, però, se è certo che il carisma e la grande signorilità li accomunano, è altresì certamente necessario ricordarsi, in barba alla massima sinistra, che gli uomini non sono tutti uguali; affermare questo significa anche, tra le molte implicazioni, rivendicare il diritto, in tempi più felici avremmo detto – lo diremo ancora – il dovere, di giudicare questi uomini sulla base della vita che hanno condotto e, ancora di più, sulla base di quello che di sé hanno deciso di issare a vessillo della propria esistenza terrena.


Il giudizio di cui parlo non ha nulla a che vedere – non di rado è orientato all’estremo opposto – con l’esprimersi democraticamente delle assemblee: mentre queste, per mercanteggiamento, quieto vivere, ideologia o triste spalleggiarsi l’un l’altro di incompetenti prestati all’amministrazione, sono disposte a eleggere criminali o intitolare vie a gentaglia come Lenin, Stalin o Pertini; il giudizio a cui mi riferisco è quello ineludibile e incorruttibile che si pronuncia per mezzo dei fatti storici.


Nel caso di Sandro Pertini, prima di procedere elencando alcuni di questi fatti, dobbiamo riconoscere il debito nei confronti di Marcello Veneziani che, tra i primi, si è sobbarcato coraggiosamente il peso di questa battaglia antidemocratica, cioè della battaglia contro il maggior peso, nel giudizio, della quantità delle voci sulle effettive qualità dell’esaminato.


Partiamo con il partigiano, Pertini, membro del CNL in quota PSI e attore di spicco della resistenza, non si limitò ad affrontare e uccidere, da soldato, gli avversari della Repubblica Sociale; egli si macchiò invece – se per negligenza o cattiveria non ha alcuna rilevanza – dell’ordine, ribadito con insistenza, di assassinare gli innocenti Osvaldo Valenti, Luisa Ferida e il bimbo che lei portava in grembo.


Notabile del cinema italiano e tenente della Xª Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana, Valenti era stato presunto colpevole di rapporti e sostegno alla Banda Koch, polizia segreta fascista che si macchiò di infami crimini di guerra, mentre l’unica colpa della sua compagna Ferida era stata il frequentarlo. Il 30 aprile del 1945 i due amanti, insieme al figlio non-nato, furono fucilati al muro senza neppure essere avvertiti.


«Presunto», ebbene, dopo la guerra, la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato infondata ogni accusa mossa dagli aguzzini partigiani nei confronti di Osvaldo. Sia chiaro, Valenti fu un fiero volontario repubblichino – fatemelo dire –, un eroe: pagata a proprie spese la fuga di diversi ebrei italiani in Svizzera, dichiaratosi pubblicamente antifascista, si arruolò, patriota romantico, per difendere l’Italia dall’occupazione straniera.


L’attore combattente era un uomo così integro e genuino che a guerra persa si consegnò spontaneamente al comando partigiano sicuro che sarebbe stato trattato da soldato, così non fu. Gli amanti furono fucilati, con la scusa dei crimini di guerra e – almeno formalmente – non per l’appartenenza alla Xª, dal Comandante partigiano Giuseppe Marozin, detto Vero, che pure era sicuro quantomeno dell’innocenza di Luisa, secondo ordine diretto di Sandro Pertini, il quale si era eretto a loro giudice senza la benché minima prova e rifiutandosi addirittura di leggere la memoria difensiva redatta da Valenti.


Il partigiano Pertini non combatté, con onore, il fascismo nel nome dell’Italia libera, al contrario, nonostante la personalità elegante, egli fu un volgare assassino in nulla distinguibile dagli aguzzini repubblichini che fronteggiava.


A questo punto il lettore non sarà stupito nello scoprire che il sangue sulle mani di questo socialista che si ebbe il coraggio di eleggere Presidente non appartiene ai soli innocenti di cui si è raccontato finora. Conoscendo il tenore infimo di tanti tra coloro che oggi si propongono come eredi e continuatori dell’esperienza partigiana e anticipando la legittimazione di ogni tipo di azione nei confronti di un soldato repubblichino e della sua famiglia, è d’obbligo raccontare di come questo partigiano vile, non appena divenuto Presidente, non abbia perso tempo per solidarizzare con l’assassinio barbaro di 17 partigiani, innocenti, cattolici e socialisti.


Parlo dell'avventura giudiziaria di Mario Toffanin, detto Giacca, ma passato alla storia come il Boia di Porzus, che nel febbraio del ’45, alla guida dei Gruppi di Azione Patriottica, massacrò la Brigata partigiana Osoppo e, condannato, ricevette, neppure pentito, la grazia per volontà diretta del Presidente della Repubblica.


Si sarebbe potuto raccontare tanto, per esempio l’amicizia con il dittatore comunista Tito [qui] o le parole trionfali che Pertini pronunciò in sede istituzionale alla morte di Stalin, aspetteremo la prossima processione di questo santo patrono dei vili; si è scelto invece, per evitare il più possibile il confronto ideologico, due fatti di sangue, ineludibili e incorruttibili, che in un’epoca e in uno Stato civile avrebbero condotto questo uomo piccolo al carcere.


Che la Repubblica abbia deciso di eleggerlo suo Presidente è l’ennesima conferma che essa sia è fondata sul sangue degli innocenti e che scelte coraggiose come quelle del Consiglio Comunale di Lucca, ancorché alle volte espresse goffamente, sono passaggi obbligati per chiunque, amando la propria patria, sia deciso a rifiutare l’eredità infame che i partigiani come Pertini ci hanno consegnato.

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