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«Se prenderemo il Negus», Stornelli neri dalla Guerra d'Abissinia

Aggiornamento: 11 mar

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L'Italia e l'Abissinia prima del 1935


Nel 1935, l'Italia di Mussolini si imbarca in una delle sue imprese più memorabili: la guerra d'Abissinia. Il paese africano, meglio conosciuto come Etiopia, era guidato dal sovrano Hailé Selassié, che deteneva il titolo di Negus Neghesti, cioè re dei re, o, più semplicemente, imperatore.


Di fatto, il potere di questo monarca si basava sul rapporto con i vari ras del territorio, re locali (più simili ai capi tribù), che gestivano quasi autonomamente i propri possedimenti e che, non di rado, erano avvezzi a scontri interni di potere.


L'Abissinia, oltre che essere l'unico paese africano non ancora colonizzato da potenze straniere, aveva con l'Italia un trascorso particolare: a fine 1800, l'Italia liberale aveva tentato, in maniera alquanto maldestra e fallimentare, di invadere lo stato africano, tentativo che era culminato nel massacro e nella sconfitta, nei pressi di Adua.


Da allora, scontri di confine fra le milizie etiopi dei ras e le colonie italiane di Eritrea e Somalia avevano riacceso quella miccia di rivalità che scorreva, proprio per la sconfitta sopra citata.


L'attacco di Ual Ual e il casus belli per la conquista



L'ora in cui regolare i conti non mancò di arrivare. Fra il 2 e il 3 ottobre 1935, le colonne italiane, guidate dal generale De Bono, avanzavano superando il confine, invero molto labile, che fino a quel giorno aveva diviso i due paesi.


L'ultima causa scatenante del conflitto fu l'attacco, nel dicembre 1934, da parte di alcuni soldati etiopi, al presidio italiano di Ual Ual, situato, in realtà, ben oltre i confini stabiliti nel 1897 e, quindi, ufficialmente in territorio Abissino. Cogliendo al balzo la situazione, Mussolini rispose rapidamente ordinando l'invasione.


Per amor della verità storica, è bene precisare che a stuzzicare costantemente il conflitto furono proprio gli italiani, inviando spesso dall'altra parte del confine bande di truppe irregolari somale, per provocare gli abissini e creare pretesti, quindi, per il conflitto.


L'attacco di Ual Ual fu, per Mussolini e per l'Italia, il casus belli perfetto, da tempo atteso, per poter avviare le imprese coloniali che avrebbero portato alla costituzione dell'Impero italiano. A guerra scoppiata, migliaia furono i richiamati alle armi, ma altrettanti furono i volontari che accorsero ansiosi di partecipare a questa nuova avventura coloniale, che tutto sembrava meno che una vera guerra.


Decine le canzoni scritte a riguardo, se la più famosa è sicuramente Faccetta Nera, ve ne sono altre meno conosciute ma altrettanto rilevanti, una su tutte è Stornelli Neri, che analizzeremo di seguito.


Stornelli Neri, Se prenderemo il Negus



Il brano, composto nel 1935 da Armando Gill e Nino Casiroli e registrato dalla voce di Ferdinando Crivelli, in arte Crivel, artista ben noto nel panorama musicale del Ventennio,si rifà agli stornelli romani di Bombaccè, riadattati al contesto della guerra di Abissinia. Così comincia il brano:


Se prenderemo il Negus, gliene farem di belle!

Se lui farà il testardo noi gli farem la pelle!


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


Ha molte terre incolte che non sa far fruttare.

E noi sarem capaci di andarle a conquistare!


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


Se l’Abissino è nero gli cambierem colore!

A colpi di legnate poi gli verrà il pallore!


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


La flemma a quel paese s’è alquanto un po' cambiata.

Se prende le difese lo mandiamo in ritirata.


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


Ha certe gran pretese e mai non è persuaso,

se ancora fa il ficcanaso gli daremo il sale inglese.


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


Queste prime strofe, oltre a manifestare un neanche troppo velato razzismo di fondo (tipico di quegli anni e comunque funzionale agli intenti propagandistici della canzone), sono dedite a descrivere negativamente il governo del Negus, Hailé Selassié, dipinto come incapace a gestire il proprio regno.


Invero, il Negus non era apprezzato particolarmente da quasi nessuno nel panorama politico internazionale, al punto che le sue richieste di aiuto dinanzi alla Società delle Nazioni, antenato dell'odierno Onu, si risolsero in semplici sanzioni verso il nostro Paese, anziché in aiuti militari concreti. Il brano continua:

 

Il general De Bono ci ha detto in confidenza

Se prenderemo il Negus ci manderà in licenza!


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


Ho fatto una promessa stasera al mio tenente

di fare il valoroso se vado giù in Oriente.


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


Or ti facciamo in coro una gran preghiera:

su manda in Abissinia pure anche Carnera!


In questi versi vengono citati diversi nomi noti del panorama civile, politico e militare dell'epoca: oltre a Primo Carnera, famoso pugile italiano, è menzionato il generale De Bono, comandante delle truppe italiane sul fronte eritreo, oltre che gerarca e fedelissimo del Duce, almeno fino ai fatti del 25 luglio 1943, che portarono alla sua fucilazione. Prosegue lo Stornello:

 

Io parto per l’Oriente e vado in Abissinia:

e a tutti i nemici farò la permanente!


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


Se il Negus non risponde e all’armi fa l’appello

noi gli farem gustare l’antico manganello!


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!


C’è una nazione grande che ha molti quattrini!

Noi in compenso a Roma abbiamo Mussolini!


Dai, dai, dai, l’Abissino vincerai!

 

La «grande nazione che ha molti quattrini» è, senza dubbio, l'Inghilterra, che nelle accese rivalità coloniali si oppose apertamente all'espansione italiana in Africa, fino a divenire promotrice delle già citate sanzioni nei nostri confronti. Al vile denaro i compositori del testo oppongono Mussolini, che a Roma già si prepara a proclamare l'Impero.

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