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Siria: anatomia di una civiltà tra cannibalismo occidentale, psywar e fondamentalismo islamico

La Siria è l'erede culturale di una vasta regione mediorientale chiamata , Grande Siria, la quale per secoli sotto il governo della Sublime Porta conservò prosperità e ricchezza. Al suo interno, convive un arcipelago di minoranze etniche e religiose a fronte di un 65% di arabi dalla solida tradizione beduina.

Il territorio siriano al febbraio 2023, fonte: UN Commission of Inquiry on Syria

In questo scontro incontro, solo una è riuscita a conquistare il potere dal 1965. Gli alawiti con il generale Hafiz al-Assad. I "seguaci di Alì" rappresentano il 10% della popolazione siriana e sono un gruppo religioso sciita duodecimano, considerato eretico dai sunniti.

Hafiz al-Assad in uniforme

Giocando sul profondo senso di appartenenza culturale e storica di un territorio considerato la culla della civiltà antica, armonizzato in un concetto moderno di socialismo arabo, nazionalista e secolarista, la Siria raggiunse grazie al regime un'inaspettata coesione sociale, riconoscendosi nel nuovo modello politico laico, autoritario e centralizzato: il ba'thismo.

Il simbolo del Partito Ba'th

Tuttavia a partire dai primi anni del 2000 a causa dell'impatto della globalizzazione nel Paese e l’aumento delle pesanti disparità tra le aree urbane, benestanti come Damasco e Aleppo e quelle rurali, periferiche del Paese, quest’ultime poi cadute sotto il controllo di potenti mafiosi locali di fede sunnita, si costituirono i presupposti di un aspro conflitto civile. Peraltro l’apertura dei rapporti commerciali con Arabia Saudita e Qatar si rivelò controproducente. Grazie alla tolleranza religiosa del governo infatti fiorirono moschee e madrase ovunque e il fondamentalismo si impose prepotentemente nella società siriana anche attraverso internet e i social, dove esasperava il malcontento causato dalle disparità sociali e l'odio religioso contro gli eretici al potere.


La Primavera Araba a Damasco

Il detonatore della deflagrazione sociale fu la cosiddetta Primavera Araba iniziata alla fine del 2010 nel Maghreb. Il saggio Geopolitica del Medioriente e dell’Africa del Nord, scritto a sei mani dai francesi Frédéric Pichon, Tancrede Josseran e Florian Louis, descrive chiaramente come la Francia di Sarkozy, per imporsi sullo scenario atlantista come surrogato degli Stati Uniti, progettò una strategia per delegittimare quelle realtà che riteneva antidemocratiche attraverso l’uso della psywar. Sfruttandoi media, furono infatti occultate e manipolate immagini, video, e notizie dal fronte per influenzare l'opinione pubblica occidentale. L'obiettivo? Rappresentare il regime come estremamente repressivo, violento mentre i rivoltosi combattenti rivoluzionari per la libertà, con l’intenzione invece di distruggere governi, detronizzare leader scomodi e vampirizzare le risorse di quei Paesi. Libia docet.


Sempre Frederic Pichon, esperto internazionale di lingua e cultura araba in Siria, perché l'Occidente sbaglia? pone una serie di domande: se davvero la rivolta partita dalle periferie del Paese fosse stata da subito pacifica e si fosse armata solo a causa delle violenze dell'esercito regolare siriano, perché a meno di un mese dall'inizio delle proteste ad Al Ladhiqiyaq, il governo dovette impiegare un intero reparto della marina per riprendere un quartiere? Perché sempre in quel periodo a Damasco, Homs e Deraa, i ribelli erano armati di bombe termiche, missili anti-artiglieria e fucili d'assalto? Fu necessario un anno dall’inizio del conflitto perché la Francia si accorgesse di essere stata sedotta e ingannata dai ribelli e l'Esercito di Liberazione Siriano altro non fosse che il cavallo di Troia di una costellazione di sigle jihadiste come Daesh e Al Qaeda. Troppo tardi, il Paese si era trasformato nella base operativa del terrorismo islamico internazionale.


Come ha fatto l'opinione pubblica europea a credere davvero che le monarchie Saudita e Qatariota, principali finanziatrici delle milizie salafite, fossero un baluardo della democrazia? La stessa Arabia Saudita, apertamente repressiva in materia di diritti civili non ha mai nascosto di voler destabilizzare la regione, dopo il rifiuto di Assad di concedere il passaggio dalla Siria di un nuovo gasdotto per rifornire l'Europa, più sicuro ed economico, anziché dallo stretto di Hormuz.


Ciò che è sorprendente anziché durare pochi mesi, come annunciato dalle potenze occidentali, dopo 12 anni di conflitto civile, il regime vive e resiste ancora. Certo, l'appoggio e l'intervento dell'alleato russo ha avuto il suo peso, essendo la Siria in una posizione strategica per controbilanciare l'influenza americana nelle regioni circostanti. E alla delegittimazione internazionale, gli attentati personali, Assad ha risposto con una strategia diplomatica efficace. È riuscito infatti, tramite la Conferenza di Ginevra 2, consegnando all'ONU tutto l'arsenale chimico, a dimostrarsi unico interlocutore legittimo e sfruttando la carta del nazionalismo, ha denunciato i finanziamenti che ricevono i ribelli dall'esterno come ingerenze di potenze straniere, consolidando la sua posizione nel Paese. Oltre a riallacciare profondi legami diplomatici con potenti partner come la Turchia. Bashar al-Assad rappresenta una vera e propria diga delle nostre civiltà contro l'odio del fondamentalismo islamico ed è parte di quel blocco orientale della Tradizione in netta contrapposizione al way of life occidentale.


L'ideologia secolarista ba'ath può diventare forse l'unico paradigma ispirante per aiutare a crescere e modernizzare un'area caduta in un medioevo culturale e sociale. Il laicismo socialista che armonizza le religioni senza annullarle fortifica l'anima tradizionalista araba, la sua voglia di emancipazione e potrebbe essere la svolta per una nuova alba.


Cesare Taddei

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