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Spezzoni incendiari illuminano le calde notti milanesi

Per approfondire: Breda M.A., Calini A., Padovan G., Bombardano Milano. Rifugio Antiaereo N° 87, Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano, Milano 2020.


Agosto 2024: passeggiando per Milano

 

Passeggiamo allegramente lungo le vie del Centro Storico di Milano e apprezziamo i monumenti e le architetture. Nonostante il caldo.

 

Ma se osservate bene vi renderete conto che tra palazzi d’epoca, belli e decorosi, spuntano come funghi i palazzi moderni e molti di essi sono brutti e sciatti. Architettonicamente parlando non sembrano nemmeno figli d’architetti italiani. Eppure, accidenti, lo sono eccome, nella loro bruttezza e malagrazia inconcepibili.

 

La gran parte di questi “funghi” sono sorti laddove, a causa dei bombardamenti incassati dalla città, gli edifici sono stati colpiti, sono crollati oppure erano in condizioni tali da non poter essere restaurati. Ma non sorvoliamo nemmeno sul fatto che, per meri motivi di lucro, taluni edifici potevano essere recuperati, ma li hanno cancellati per un nuovo e costosissimo palazzo. Ma, questo, è altro argomento.

 

Passeggiando in questo bell’agosto, qualcheduno si lamenterà per il caldo, ma è bene che non lo faccia. In primo luogo lamentarsi induce sempre ad una regressione del proprio pensiero. In secondo luogo, fortunatamente, nessuno di noi oggi ha idea di che cosa voglia dire avere caldo.


Vedo già gli sguardi perplessi e i moti di stizza che fanno seguito alle mie parole. Ebbene, nell’agosto del 1943, i milanesi d’allora potevano a buon diritto lamentare un “caldo atroce”.


Nel rifugio antiaereo pubblico erano seduti uno accanto all’altro e da regolamento si poteva occupare solo 50 centimetri di scomoda panca di legno. Un agio era il mettere tra l’asse e le proprie terga un cuscino per essere meno scomodi, ma tale cuscino diveniva “una stufa attaccata alle chiappe”.

 

Non si rida: l’aria d’agosto era calda, il rifugio vuoto era fresco, ma il rifugio pieno di gente era a dir poco soffocante. E poi la tensione, la paura, la ridda di pensieri su che cosa sarebbe accaduto di lì a breve erano i pistoni in movimento accelerato. E si sudava, ma di paura.

 

Sudori freddi:

 

Nel rifugio antiaereo originariamente “privato”, ovvero quello classico del condominio, che dopo una manciata di mesi di guerra era divenuto anch’esso “pubblico”, di solito si sudava di più.

 

Dai racconti di guerra che ho raccolto tra i civili sopravvissuti ai bombardamenti, emerge l’approssimazione del puntellamento dei soffitti e delle volte, ma anche la loro mancanza. Una signora mi disse che assieme ad altri bimbi passavano il tempo a contare i topi (o i ratti) che correvano sopra i tubi polverosi…

 

Ma il vero caldo arrivava quando l’edificio era colpito dalle bombe dirompenti e anche dagli spezzoni incendiari. Allora sì che faceva caldo. Allora la gente intrappolata nel rifugio non si lamentava per il caldo, ma urlava perché stava bruciando viva.

 

Pensate che oggi, adesso, a poco più d’un migliaio di chilometri di distanza da Milano, le cose vadano diversamente? In Ucraina è anche peggio, solo che non ve lo raccontano.


Ho conosciuto un milanese, unico sopravvissuto in un rifugio antiaereo casalingo colpito dalle bombe. La scala che conduceva in cantina era ingombra di macerie inamovibili, i lucernai erano anch’essi intasati di rottami e la gente, tutta sopravvissuta ai colpi, si dispose come meglio poteva per attendere l’arrivo dei soccorsi.

 

Ma si erano rotte le tubature del gas.

 

Certo che in caso di attacco aereo i gasometri dovevano chiudere i rubinetti, ma altrettanto certamente dovevano suonare per tempo le sirene che allertavano la gente affinché questa trovasse riparo. Pensate che questo sia sempre avvenuto puntualmente?

 

Il gas cominciò a fluire dalle tubature e quando se ne accorsero era oramai troppo tardi. Lui mi disse testuali parole: «…mia madre mi teneva stretto in braccio e mi premette sulla bocca e sul naso il suo fazzoletto intriso delle sue lacrime… e così mi trovarono i soccorritori, unico superstite…».

 

L’esuberante bombetta:

 

Il “tipico” spezzone incendiario sganciato su Milano era una bomba al fosforo inglese che assomigliava ad un semplice tubo metallico a sezione esagonale, piatto su entrambe le estremità. L’ordigno-tipo, di cui hanno fabbricato qualche “variante”, è stato abbondantemente sganciato sulla città e prevalentemente sul Centro Storico, nell’intento non riuscito di innescare la così detta “tempesta di fuoco”.


Com’era fatta la “bombetta incendiaria”? Lascio volentieri la parola descrittiva all’edizione italo-tedesca del 1943 di Der Adler, dal momento che all’epoca ce l’avevano, come si suole dire, “sotto mano”.

 

«Il tipo normale di bomba incendiaria prismatica inglese “elektron-thermit” ha con il suo peso di circa 1,7 kg una forza di penetrazione minima dato che non ha l’estremità appuntita ed è invece piana. In tal modo la sua azione si svolge quasi sempre nei piani superiori. La sua velocità è di circa 120 metri al secondo, il che corrisponde a circa 430 chilometri all’ora. Le 10 fino a 15 pillole di termite disposte nell’involucro di electron bruciano generalmente lentamente sviluppando una forte luce abbagliante.


Contemporaneamente si sviluppa un denso fumo grigio, mentre la bomba si scioglie formando una massa incandescente che brucia gli oggetti facilmente infiammabili, provocando tuttavia nelle costruzioni di legno compatto soltanto un focolaio di incendio che si sviluppa lentamente. Da qualche tempo gli inglesi sostituiscono, in una piccola parte di queste bombe incendiarie prismatiche, al posto delle tre pillole poste nella parte inferiore, una carica di polvere che agisce dopo tre fino a cinque minuti dall’urto e, con una sensibile esplosione, provoca tutt’intorno il lancio di schegge violente.


Lo scopo è quello di intimidire le squadre addette allo spegnimento degli incendi» (Heinrich Kluth, Grappoli illuminanti – bombe incendiarie – mine da bombardamento. Leuchttrauben – Brandbomben – Minenbomben, in Ministero Germanico dell’Aeronautica -a cura di-, Der Adler, Edizione italo-tedesca, 6 aprile, Berlino 1943, p. 11 [pp. 11-12]).

 

L’indelebile timbro di una missiva non apprezzabile:

 

Se pensate che tutto ciò appartenga ad un passato quasi remoto, in quanto avvenuto lo scorso secolo, in parte vi sbagliate. Come già detto, gli spezzoni incendiali avevano la sezione esagonale e le estremità piatte. Quando colpivano una superficie piana con una delle due estremità lasciavano una sorta di “timbro”.


Mi spiego meglio: se picchiavano sullo scalino di granito o di scisto, oppure sul cordolo di pietra di un marciapiede, ma anche sui basoli di porfido del tipico “pavè” milanese, vi lasciavano impressa la loro forma esagonale.

 

Tutti i cordoli di granito dei marciapiedi, sopravvissuti alla modernizzazione, recano almeno un “timbro”. Andate attorno all’arcinoto Palazzo della Borsa, realizzato dall’architetto Paolo Mezzanotte nel 1932: io ne ho contati una trentina, di “timbri”. Una chiesa per tutte: Santa Maria alla Porta presenta ancora oggi numerosi “timbri”, nonché le sbrecciature (talune stuccate) dovute alla proiezione delle schegge degli ordigni dirompenti.

 

Concludo, tornando per un attimo ancora ai rifugi antiaerei. Se i cittadini erano obbligati a scendere nei rifugi quando suonava la sirena, le eccezioni non mancavano. Claustrofobici a parte, una signora mi ha raccontato del suo defunto cugino. Costui, un ragazzetto di quindici anni, o non scendeva affatto nel rifugio, oppure vi schizzava fuori ben prima che suonassero il “cessato allarme”.


Correva laddove erano cadute le bombe per raccattare gli spezzoni incendiari non esplosi. Poi andava a venderli a chi recuperava i metalli, ai rigattieri, agli straccivendoli. Una notte gli andò male e si mise in spalla uno spezzone a innesco ritardato. Il fosforo gli inondò la spalla e il torace. Ci mise una settimana a morire tra urla d’atroce dolore. La signora, quando mi ha raccontato l’episodio, aveva le lacrime agli occhi, nonostante il tempo passato.


Gianluca Padovan


APPENDICE

 

Un quadro apocalittico:


Le parole di Giorgio Bonacina immortalano con grande effetto un bombardamento subìto dalla città di Milano verso la metà del mese di agosto 1943:

 

«Mancano pochi minuti all’una e un quarto di notte. È venerdì 13. La gente è nei rifugi, stanca, assonnata, a detergersi il sudore. Non sa che non dimenticherà per tutta la vita i prossimi quarantacinque minuti. La contraerea è sopraffatta dal compito ciclopico che deve assolvere. Gli artiglieri non sanno dove tirare. Per quanto mal manovrati, i riflettori scovano e inquadrano in ogni angolo di cielo i grandi quadrimotori che sono l’orgoglio della Royal Air Force. Ma non ci sono abbastanza cannoni.


Dalle piazzuole, che avvampano, salgono i proiettili a una velocità doppia di quella del suono, forano la notte, scoppiano disegnando per un attimo vaghe corolle d’argento. I traccianti rigano l’oscurità di scie sanguigne, verso le sagome nere che fanno fremere l’aria, moderni vascelli pirati. Le lame brillanti dei fari illuminano le bombe, paiono punti incandescenti e precipitano parabolicamente, fino a volatilizzarsi nei lampi delle esplosioni. Tuona su Milano un gigantesco corno da caccia. Da San Siro a Lambrate, da Bresso a Rogoredo la città è flagellata.


A grappoli bombe da 1.000, 2.000 e 4.000 libbre fanno scempio di case, palazzi, chiese, monumenti, viali alberati e stradine ritorte. In frazioni di secondo, mura vetuste di tre secoli scompaiono in nuvole di gas rossastro. Reggono, talvolta, le strutture di cemento armato dei nuovi alveari, ma i soffitti e i divisori sono soffiati via, restano solo scheletri sbilenchi, rugginosi e rinsecchiti. Saltano le tubazioni sotterranee, la vita segreta della città si rivela. L’antica Fossa dei Navigli, coperta quindici anni prima, torna alla luce in più luoghi. La tempesta di bombe è implacabile. Da quattro-cinquemila metri d’altezza piovano suppergiù 380.000 spezzoni [incendiari. N.d.A.]. Gli incendi dilagano rigogliosi. Non sono passati venti minuti dall’inizio dell’attacco e già Milano è un’orgia di fiamme.


Su alcuni quartieri del centro storico, presso la vecchia Porta Ticinese, le salve di bombe esplosive commiste alla grandine incendiaria creano un baluardo di fuoco che pulsa come creatura viva. Dalla campagna comincia a arrivare il vento, avido, richiamato dalla fornace. Ci sarà il Fuersturm? [tempesta di fuoco. N.d.A.] Non ci sarà. Il vento fresco della pianura non ha abbastanza forza, i camini di tiraggio non sono abbastanza rabbiosi e le raffiche più violente non superano i cinquanta chilometri all’ora. Attizzano le fiamme, ma le conflagrazioni ignee non si congiungono e a Milano è risparmiato il destino atroce di Amburgo.


La città è comunque crocefissa. Le bombe si ficcano nei palazzi come chiodi animati, scavano strade e aiuole, sbrecciano e abbattono ogni ostacolo con le spallate telluriche degli spostamenti d’aria. Le reti aeree dell’alta tensione cadono in uno sfrigolio di scintille. Gli scoppi si succedono agli scoppi, incessanti, i sibili lacerano i timpani, in ogni rifugio si crede cento volte che la propria casa sia direttamente colpita, tanto è assordante l’urlo del bombardamento. Piovono calcinacci, la terra si scuote, i pali di rinforzo che sostengono le volte sembrano spezzarsi e da ogni apertura penetra il fumo, spesso accompagnato da vortici di lapilli» (Bonacina G., Obiettivo: Italia. I bombardamenti aerei delle città italiane dal 1940 al 1945, Mursia Editore, Milano 1970, pp. 230-231).

 

TESTO DI RIFERIMENTO:



Breda M.A., Calini A., Padovan G., Bombardano Milano. Rifugio Antiaereo N° 87, Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano, Milano 2020.

  

DIDASCALIE:

 


1. "Tipico” spezzone incendiario sganciato su Milano (Heinrich Kluth, Grappoli illuminanti – bombe incendiarie – mine da bombardamento. Leuchttrauben – Brandbomben – Minenbomben, op. cit., p. 12).


 

2. «Sezione di una bomba incendiaria fosforosa di 14 chilogrammi di fabbricazione inglese. La materia incendiaria composta di un miscuglio di gomma e di fosforo viene lanciata all’atto dell’urto dall’estremità posteriore. Essa provoca numerose macchie di incendio che possono essere spente con della sabbia, non appena, dopo i primi minuti, il contenuto della bomba si è consumato» (Heinrich Kluth, Grappoli illuminanti – bombe incendiarie – mine da bombardamento. Leuchttrauben – Brandbomben – Minenbomben, op. cit., p. 12).


 

3. Piazza degli Affari, uno dei “timbri” su granito, stuccato dopo che ne avevamo parlato sul web (foto G. Padovan).


 

4. “Timbro” lasciati da uno spezzone incendiario inglese su una delle lastre di copertura in Marmo di Candoglia del Duomo di Milano. Speriamo che non l’abbiano rimossa (foto G. Padovan)


 

5. L’effetto dei bombardamenti su Milano (Comune di Milano, Sui cieli di Milano è passata la Raf, supplemento a Milano, marzo, Milano 1943-XXI, p. 48).



6. L’effetto dei bombardamenti su Milano (Comune di Milano, Sui cieli di Milano è passata la Raf, op. cit., p. 21).

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