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Torino e l'Italia sotto assedio, 7 settembre 1706

La mattina del due settembre 1706 due figure salgono in cima alla collina di Superga, innanzi a loro si palesa uno scenario unico e impressionante; la città di Torino (la più grande e la migliore cittadella fortificata d'Europa) è stretta d'assedio.



I soldati dell'armata francese, 44.000 uomini, 110 cannoni d'assedio, 59 mortai e 62 pezzi da campagna, martellano le fortificazioni, abbattendo i difensori coraggiosissimi e affliggendo la popolazione civile.


I due uomini sulla collina scrutano le trincee e le escavazioni dei nemici, studiano il terreno in silenzio. Uno dei due, con rapido sguardo analizza tutto, come uno sparviero; il suo caratteristico coup d'oeil gli permette di individuare il punto debole dello schieramento avversario e in breve, rivolgendosi all'altro, esclama: «Ces gents là sont dejà a demi battues!», «Quelli sono già mezzi sconfitti».


Questi era il Principe Eugenio di Savoia-Soisson, comandante delle armate imperiali in Italia (uno dei migliori condottieri dell'epoca), l'altra figura è quella del di lui cugino, il Duca Vittorio Amedeo II di Savoia. Il sovrano sabaudo si stava giocando il tutto per tutto, aveva stracciato l'alleanza con il Re di Francia, Luigi XIV, e si era schierato con gli alleati, nello scenario della guerra di successione spagnola, quel conflitto che coinvolse gli Stati europei, dal 1701 al 1714, per dirimere le pretese al trono di Spagna.


La morte, senza eredi, di Carlo II di Asburgo Spagna, e l'ascesa al trono iberico di Filippo di Borbone (nipote del Re di Francia), aveva scatenato il conflitto tra le potenze europee; la possibile unione dei due Stati sotto un' unica dinastia era una prospettiva terribile. Lo stesso Duca di Savoia, a proposito, scrisse:


«L'unione delle due Corone mi pose a un tratto in servitù compiuta. Niun mezzo per bilanciare le forze, niuna speranza per la mia Casa: ero circondato, avviluppato da ogni banda, perdeva ogni mio credito e la riputazione che la postura dei miei Stati dava alla mia amicizia».


L'azione di Vittorio Amedeo II non rimase però impunità, il Re sole inviò le sue armate e invase il Piemonte, dal 14 maggio la capitale sabauda fu cinta d'assedio. La resistenza fu ben organizzata e intrepida, nonostante le privazioni, i torinesi non cedettero, grande fu il sacrificio, ancora oggi ricordato, di Pietro Micca.


Il Duca di Savoia fu d'esempio per i commilitoni. L'8 giugno il Duca, nemico, della Feuillade inviò un messaggio a Vittorio Amedeo con il quale offrì al sovrano la possibilità di uscire liberamente da Torino, poiché il Re Luigi aveva dato ordine che non si mettesse a repentaglio la vita del nemico.


Di tutta risposta, il Savoia si rifiutò anche solo di comunicare l'ubicazione dei suoi appartamenti affinché non venissero bombardati: «Il mio alloggio è là dove la battaglia è più furiosa», rispose.


Le sorti della battaglia sembravano comunque segnate, nonostante l'eroismo dei 10.500 soldati sabaudi, la polvere da sparo e le munizioni stavano diminuendo; l'arrivo del Principe Eugenio, con 20.000 soldati imperiali e prussiani, fu un sollievo enorme. Con questi rinforzi, i due uomini si prepararono alla battaglia: sulla collina di Superga, il Duca Vittorio Amedeo II, in ginocchio per terra davanti a una colonna con l'effige della Vergine Santissima, pronunziò un sacro voto, se avesse ottenuto la vittoria, avrebbe edificato una basilica maestosa alla Madre di Dio.


Nei giorni successivi, le truppe austro-piemontesi, compirono una manovra di aggiramento che doveva colpire l'ala destra francese. La battaglia fu furiosa, le truppe prussiane del Principe Leopoldo I di Anhalt-Dessau si distinsero per la grande disciplina; nonostante i contrattacchi del Duca Orléans, la cavalleria imperiale colpì a fondo lo schieramento nemico, e a questa azione il Principe Eugenio e il Duca Vittorio Amedeo presero parte in prima persona.


Il Conte Hamilton espose la condotta del Duca alla corte di Vienna in questi termini: «Sua Maestà il Duca di Savoia ha messo a repentaglio la sua persona non solo per la sua gloria immortale, ma anche per il maggior bene della causa comune e per il sollievo e la pace dei suoi sudditi e paese, si è esposto intrepidamente al maggior fuoco e vi ha preso parte dall'inizio alla fine, ed ha condotto personalmente i soldati e respinto il Nemico al di là del Po.».


Il 7 settembre i francesi erano in rotta, Torino era liberata. La guerra ebbe termine nel 1713, con la sigla del trattato di Utrecht e la consecutiva pace di Rastatt (1714): nonostante l'ascesa al trono di Spagna di un Borbone venga effettivamente ratificata, i sacrifici del Duca Vittorio Amedeo II verranno ricompensati. Infatti, in base ai trattati, il Duca otterrà la Sicilia, e l'elevazione al titolo regio, solo nel 1720 il Regno di Sicilia verrà scambiato con il Regno di Sardegna.


Tale evento segna uno spartiacque fondamentale, non solo dal punto di vista dinastico o d'orgoglio nella precedenza dei Principi d'Italia, ma anche politico. Infatti, il Ducato di Savoia si elevava al rango di Regno, acquistando un ruolo notevole e di peso nelle faccende italiane. Così come in egual modo l'elevazione del Ducato di Prussia a Regno nel 1701, aveva elevato l'importanza e i destini della Casa degli Hohenzollern, in Germania, i Savoia in Italia si ritagliarono e si conquistarono il loro destino.


La Sicilia non era solo una meta raggiunta, ma il principio di maggiori prospettive future, il grande storico Gioacchino Volpe tratta questa fase in questi termini:


«La Sicilia, cioè quella Corona regia, poteva voler dire, attraverso matrimoni o la morte senza figli dell'Imperatore o una rivoluzione a Napoli che molto dipendeva per il vettovagliamento dalla Sicilia, poteva voler dire il Regno di Napoli. Poteva voler dire anche qualche altra cosa. «Col possesso della Sicilia e gli acquisti già conseguiti in Lombardia, le viste cadono naturalmente sul Milanese». Così il rappresentante veneziano da Vienna [...]».


Sempre il Professor Volpe riporta la citazione di un diplomatico piemontese dell' epoca, il Mallerede, da Utrecht:


«Col Piemonte, il Duca piglierà il Milanese, con la Sicilia piglierà Napoli». Avendo quei popoli provato il peso del giogo tedesco, verranno volentieri sotto un Principe d'Italia... Nulla più rileverebbe a smuovere i Napoletani e i Milanesi a scuotere il giogo tedesco che la dolcezza del vivere procacciato ai loro vicini (cioè Siciliani e Piemontesi) da un Principe originario d'Italia. Questo deve essere il perno della politica della Real Casa di Savoia, la quale di tal maniera può promettersi di rendersi signora della maggior parte d'Italia, chiudendone l'adito ai Tedeschi ed ai Francesi».


Comunque la guerra di successione spagnola aveva ridimensionato il potere ispanico sulla penisola italiana, ma il secolo XVIII vide altre guerre di successione con il continuo scontro tra gli Asburgo d'Austria, i Savoia e i Borbone di Spagna (tornati in Italia con Carlo III figlio di Elisabetta Farnese). I conflitti e gli accordi diplomatici, determinarono solo uno status quo tra Torino Vienna e Napoli, senza che nessuno potesse prevalere totalmente.


Con il successore di Vittorio Amedeo II, Re Carlo Emanuele III, il Regno di Sardegna comunque si consolidò come entità politica e forza militare, non a caso Carlo Emanuele verrà definito dai suoi contemporanei "il Federico di Prussia italiano". L'eredità di quel assedio, e di quella vittoria, si consolideranno nell'Ottocento, con il Risorgimento.


I destini dei Savoia e dell'Italia si legarono con l'epopea risorgimentale, come giustamente ricordato da Indro Montanelli, l'unità italiana fu possibile solo grazie all'adesione dello Stato sardo, con il suo esercito piccolo, ma serio e la diplomazia (che nelle mani di Cavour diede i suoi noti risultati).


Il voto fatto da Vittorio Amedeo II a Superga, quel 2 settembre del 1706 fu ampiamente coronato, la vittoria arrise al Savoia coronando i destini futuri della dinastia e sul colle di Superga ancora oggi sorge la meravigliosa basilica.


Alessio Benassi

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