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Turchia, la spada dell'Islam

La rinascita di un impero tra contraddizioni, orgoglio nazionale e il malinteso con l’Europa.

Quale meravigliosa sensazione di disorientamento e vertigini trasmette ai visitatori il primo incontro con Istanbul. Come la definisce lo storico Franco Cardini «una foresta di minareti, un intrico assordante di sferraglianti tram, clacson spiegati, un dedalico groviglio di viuzze ripide e scivolose poi rovine, giardini, fontane, cisterne, ponti, aromi di spezie e putridi veleni».


Nei frequenti viaggi in Asia Minore, inghiottito nella vorticosa e brulicante umanità dell'Istiklal Caddesi, mi sono chiesto quanto questa città potesse avere di europeo e soprattutto quale percezione avessimo di lei e della Turchia stessa. Entrambe sfaccettature di un mondo ambiguo, contraddittorio, seducente e terrificante. Un popolo che viene da lontano, dalle profondità degli Altaj, cavalcando attraverso la storia. Sospeso, tra disparità sociali, tradizione e modernità, sacro e profano. Una realtà in cui l'Islam costituisce il collante tra le glorie del passato e le sfide del futuro.


Alberto Rosselli nel Sulla Turchia e L'Europa ha indagato gli aspetti più intimi di uno Stato che si definisce secolare e rivendica nella sua Costituzione la propria natura "democratica e laica" e nonostante abbia abolito la legge islamica, la Shari’a, adottando un codice di ispirazione europea, discrimina le minoranze alle quali oggi preclude la carriera militare, le alte cariche pubbliche e vieta di aprire scuole religiose o luoghi di culto di qualsiasi fede. Qualcosa di molto lontano dalla logica inclusiva della Sublime Porta, in cui la convivenza con le specificità etniche soprattutto greche, ebree, curde e armene, costituiva una ricchezza e non una minaccia da combattere. Basti pensare ai giannizzeri la guardia pretoriana del sultano. Giovani cristiani strappati alle famiglie e convertiti forzatamente all’Islam, i quali ne divenivano fanatici difensori o la figura dei dragomanni ricoperta dai levantini di origine italiana, celebri per la preziosa attività d' interpretariato e mediazione culturale al servizio della diplomazia ottomana.


Ma se i turchi oggi hanno maturato un profondo sentimento di consapevolezza e orgoglio dell'eredità storica di cui sono portatori è il culmine del doloroso processo di trasformazione, da impero multietnico e multireligioso a Stato repubblicano. La modernizzazione della Turchia in chiave occidentale, voluta dal presidente Kemal Atatürk (Padre dei turchi) ha costituito un trauma che ha richiesto alla popolazione molti decenni affinché ne metabolizzasse gli effetti.


Un taglio netto con il passato, in primis l'abbandono della lingua ottomana. I caratteri arabo-persiani furono sostituiti con l'alfabeto latino e si strutturò la nuova lingua secondo l'originario ceppo uralo-altaico. Il professor Giorgio Del Zanna nel suo Geopolitica delle lingue la definisce modernizzazione difensiva ovvero l'imitazione del nemico per potersi difendere da esso. Tra il 1925 e il 1938 fu avviata inoltre una stagione di radicali riforme per la turchizzazione del popolo anatolico. Un percorso, segnato da una spirale di conflitti, massacri e re-insediamenti forzati di popolazioni. La costruzione del sé nazionale avvenne attraverso una progettazione demografica tesa a cancellare tutte le minoranze dall'Anatolia, in particolare quelle curde e armene considerate come una minaccia per la stabilità, dei tumori da estirpare.


Dal 1987 ci si è posti la questione dell'integrazione europea della Turchia nonostante rispecchi la crisi identitaria dell'Europa stessa, ridotta a essere Occidente nell'accezione atlantista. Lo scontro tra civiltà e la sua incompatibilità culturale sono la retorica di un retaggio cattolico che non ha alcuna fondatezza storica, frutto del limite ideologico della religione. Così Lepanto e Vienna devono essere contestualizzate in una complessa realtà di fragili equilibri internazionali e cospirazioni. Lo stesso ex presidente Davutoglu lo ha compreso nella sua opera Stratejik Derinlik, profondità strategica, «La Turchia è un paese tanto europeo quanto asiatico, tanto balcanico quanto caucasico, tanto mediorientale quanto mediterraneo».


A confutare le tesi antiturche, sobillate in particolare da Grecia e Cipro, ci viene in soccorso la storia. La continuità culturale della nostra civiltà romano-germanica nella transatio imperii di Istanbul, l’etnogenesi greca, sviluppatasi dalla costa Egea fino a Gaziantep (nelle cui terre sono nati alcuni dei padri della cultura europea da Eraclito, Erodoto a Talete). E possiamo trovare analogie anche con il kemalismo e il suo forte carattere prussiano ispirato dai nazionalismi europei o le stesse opere sulla purezza della razza turca dell'ideologo Ziva Gokalp ricordano molto le teorie sviluppate nel Mein Kampf. La questione cipriota, la persecuzione dei curdi e il negazionismo del genocidio armeno non legittimano l'ostracismo dell'UE.


Se la Turchia non soddisfa i requisiti etici per l'accesso nell'Unione, allora nemmeno Georgia e Ucraina dovrebbero essere prese in considerazione. Se il rispetto delle minoranze e dei diritti civili è un fattore imprescindibile, perché in Donbass per oltre 9 anni il governo ucraino ha causato una guerra civile perseguitando la minoranza russofona nel silenzio generale e da 30 nel Caucaso non si spegne un conflitto armato tra la Georgia e gli indipendentisti dell’Ossezia del Sud, ai quali impone la lingua georgiana e non ne riconosce l’identità etnica? Eppure l’integrazione di questi due paesi nell’UE è fortemente auspicata da molti membri e dalla Presidente Metsola, la quale davanti al Parlamento europeo ha affermato di intendere l’Unione come uno stile di vita e di valori da esportare e pertanto di essere disponibile a un allargamento anche a realtà lontane ed estranee all’ identità europea. Ma com'è già stato oggetto di un'accesa discussione tra me e le stesse delegazioni invitate a Strasburgo quest’estate per l'EYE23, l’ingresso di paesi fragili come Ucraina e Georgia comporterebbe una minaccia per la stabilità del continente, esasperando i rapporti con la Russia e provocando un'escalation pericolosissima oltre ad aggiungersi alla lista di quelle realtà estremamente corrotte che non concepiscono l'UE come un’opportunità per emanciparsi e a cui partecipare attivamente bensì un sistema da sfruttare per ottenere più fondi e aiuti economici.


La Turchia al contrario, grazie alle sue doti diplomatiche, ha guadagnato autorevolezza e si è ritagliata un'amicizia privilegiata sia con gli Stati Uniti sia con la Russia e la maggior parte dei suoi vicini. Per non parlare della ricchezza di materie prime di cui è abbondante l'Anatolia, l'industrializzazione intensiva e una costante evoluzione demografica, la rendono poi uno dei paesi con le più interessanti prospettive di crescita economica. La storia, gli spazi e la demografia sono gli elementi per valutare la realtà turca, la quale potrebbe rivelarsi una risorsa preziosa con la quale costruire nuove relazioni positive anziché alimentare conflitti.


Cesare Taddei


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