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Una fiamma si spegne e il fumo si innalza, quando la cronaca nera diventa politica confusa

Sabato 11 novembre, ore 22.43, da Giulia Cecchettin non giungerà più nessun messaggio.

La straziante storia della ragazza, tristemente nota a tutti, non sarà argomento di questa riflessione.

Quello che vorrei provare ad analizzare è la reazione della stampa, della politica e della società di fronte a un evento così forte per tutti.


Filippo Turetta è diventato, per molti, il simbolo del patriarcato, l’esempio della violenza contro le donne e uno strumento per tanti al fine di attaccare gli uomini generalizzando senza distinzioni.

Ma prima di definire Filippo, in qualunque modo lo si voglia definire, è importante sapere che, da quel che possiamo intuire dalle dichiarazioni dalla zia e della sorella di Giulia, Filippo non era certamente una persona mentalmente stabile, ma un ragazzo con gravi problemi di salute mentale.





Molti hanno voluto identificare questo omicidio in un femminicidio, identificando nell’essere donna il motivo dell’uccisione di Giulia. Dalla descrizione della zia è chiaro che ciò che ha spinto Filippo a rovinare la vita di una ragazza innocente sia da ricercare in uno squilibrio mentale apparentemente sottovalutabile, dai racconti sembra che nessuno si fosse reso conto della gravità, e identificabile come caso grave probabilmente solo da un professionista: il ragazzo non sopportava l’idea di avere una carriera universitaria inferiore a quella dell’ex, i suoi ricatti emotivi, mediante sentimenti di pena, erano volti solo a tenerla vicino a lui, essendo Filippo una persona sola.


La mania di controllare i messaggi, il telefono, gli spostamenti e la vita della ragazza non sono frutto di un’oppressione creata da Filippo nei confronti della ragazza in quanto donna, ma sono figli di insicurezza e disturbi mentali che sono stati sfogati ingiustamente su di lei.



Ma aldilà di questo, la stampa sbaglia l’approccio al caso.

In questi giorni i giornalisti hanno fatto irruzione nelle vite delle due famiglie che in un momento del genere è forse meglio lasciare semplicemente in pace.

La famiglia di Giulia si ritrova ad affrontare un dolore enorme che non poteva immaginare e immagino che l’unico loro pensiero sia l’elaborazione del lutto e la volontà disperata di giustizia per quel che è successo, senza mai poter riavere la ragazza perduta; mentre, dall’altra parte, ci sono una madre, un padre e un fratello, anch’essi sotto shock e completamente inconsapevoli della situazione di Filippo e che non potevano immaginare.


Nei vari show in televisione è possibile ascoltare le dichiarazioni di entrambi i famigliari e dell’avvocato difensore di Filippo. Quando avvengono episodi simili è giusto raccontare quel successo, è giusto parlarne e sensibilizzare l’opinione pubblica, ma le famiglie devono essere lasciate da parte in modo che possano elaborare il lutto e lo shock. Per il resto il tribunale farà il suo lavoro.


Molti altri parlano di educazione in riferimento alla questione del patriarcato. Stento a credere che l’educazione della famiglia possa aver determinato l’omicidio premeditato di Giulia. Diventa difficile determinare se il clima famigliare possa aver indotto qualche disagio nei confronti del figlio, ma per giungere a pensare, organizzare e compiere un omicidio doloso di questo tipo qualche problema bisogna averlo indipendentemente dalla gente di cui ci si circonda.


L’unico punto che possiamo sottolineare con certezza, in questo momento, è l’importanza di sensibilizzare giovani e famiglie nella prevenzione e al contrasto delle malattie psichiche, in forte aumento negli ultimi anni, e raccontare le situazioni di disagio con professionisti e/o parenti, che per motivi d’imbarazzo, rimangono spesso all’oscuro di alcune situazioni che faticano ad emergere… fino al momento in cui giunge la goccia che fa traboccare il vaso.


C’è anche chi sui social non perde occasione per dire la sua: c’è chi attacca immotivatamente il ruolo dell’avvocato dell’aggressore, sul quale pende un mandato di arresto europeo, che ricoprirà un ruolo difficilissimo e che nessuno vorrebbe incarnare; ma per un processo giusto è necessario che qualcuno svolga questo compito e la pressione che media e opinione pubblica stanno riversando sul caso non potrà agevolare il processo.


Ci sono anche politici che strumentalizzano il caso con slogan e che non perdono anche questa occasione per ribadire la loro becera idea di giustizia, a dimostrazione della delusione di un’intera classe politica che avrebbe fatto una figura migliore a rimanere in silenzio.


Chi fa più scalpore in questo momento sicuramente è la sorella della vittima, le cui parole sono alle orecchie di tutti. In una situazione del genere, chiunque voglia esporsi su di lei sbaglia: perché, aldilà dell’essere d’accordo o meno con lei nell’identificare la causa del delitto, è impensabile immedesimarsi e provare il suo stato emotivo e qualunque dichiarazione è sicuramente influenzata dal clima che sta vivendo.

Anche per questo motivo sarebbe più opportuno da parte della stampa spegnere i riflettori sulle famiglie.


È difficile concludere un articolo di per sé ostico e che forse sarebbe stato meglio non pubblicare, ma di fronte a tutte le reazioni sopra descritte diventa difficile rimanere impassibili.


Domizio Bruto Alfieri

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