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Uno sguardo oggettivo al salario minimo

Uno dei temi di cui si sente più parlare in questo periodo è il salario minimo: una proposta che viene dai partiti di sinistra e che è già presente in quasi tutti gli Stati europei. In mezzo al flusso di argomentazioni ideologiche è difficile spesso farsi una propria idea, perciò, in questo articolo, proveremo a dare uno sguardo più oggettivo al tema basandoci sulle opinioni degli esperti.


Dove esiste e con quali risultati:

In Unione Europea solo 6 stati su 27, tra cui l’Italia, non hanno adottato nessuna forma di legislazione sul salario minimo, il quale, nel resto dell’UE, è fissato a soglie molto differenti tra loro. Si va dal livello più basso, i 332,34 euro al mese della Bulgaria (circa 2,30 euro all’ora), a salari molto più alti come in Germania, Francia e Paesi Bassi che hanno fissato il loro salario minimo intorno ai 12 euro. Il più alto lo troviamo in Lussemburgo, dove per legge la retribuzione minima è di 13,37 euro l’ora.

Da un punto di vista di normative UE, tuttavia, non vi sono direttive che impongano ai Paesi membri di inserire una soglia minima di salario, purché si riesca a mantenere, nel rispetto delle differenze trai dei modelli di dei mercati o del lavoro tra i vari Stati membri, dei rapporti di lavoro adeguati e improntati sull’equità. Senza entrare nel tecnico del calcolo del livello minimo di salario che un Paese dovrebbe adottare, basti sapere che in Italia il salario medio è sufficientemente alto da garantire un pieno rispetto di tutte le normative UE sul mercato del lavoro vigenti al momento.

Quanto ai risultati del salario minimo all’estero, c’è da dire che, nei Paesi in cui esso è stato inserito, ha alzato il livello medio dei salari e aiutato molti lavoratori ad uscire dal livello di povertà.

Tuttavia, è complesso fare un’analisi approfondita dei risultati soprattutto per le enormi differenze tra i vari Stati UE per quanto riguarda il mercato del lavoro, i sistemi economici ed il costo della vita.


La proposta di legge della sinistra:


Il centrosinistra ha recentemente depositato in aula una proposta di legge sul salario minimo. Nonostante la maggioranza abbia chiuso alla proposta, chiare al riguardo le parole della ministra del lavoro Calderone che afferma: «Non sono convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge», l’opposizione è pronta a dare battaglia, sia in aula che nelle piazze.

La proposta di legge, nello specifico, prevederebbe che al lavoratore di ogni settore economico sia riconosciuto un trattamento economico salariale complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi e che ad ulteriore garanzia venga introdotta una soglia minima di 9 euro all’ora.

Si prevede inoltre l’istituzione di una Commissione che avrà come compito principale quello di aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo, si riconosce infine un certo periodo di tempo per adeguare i contratti alla nuova disciplina e un beneficio economico a sostegno dei datori di lavoro per i quali questo adeguamento risulta più oneroso.


Al di là delle caratteristiche specifiche della proposta, però, la principale analisi da fare riguarda se effettivamente l’introduzione di un salario minimo può giovare al mercato del lavoro e alla situazione economica dell’Italia.

Al fine di discostarci dalla battaglia ideologica, cercheremo nei paragrafi seguenti di riportare il parere soprattutto di tecnici.


I difensori della proposta…


Il salario minimo è un tema estremamente discusso tra gli economisti italiani, il fronte del sì è difeso da due professori dell’Università Bocconi, Tito Boeri, ex presidente dell’INPS, e Roberto Perotti, i quali in un articolo pubblicato su Repubblica hanno raccolto le principali motivazioni a favore.

Innanzitutto, il salario minimo sarebbe un modo per tutelare i 4,6 milioni di lavoratori che al momento non raggiungono i 9 euro l’ora, pari al 29,7% dell’intera forza lavoro. Inoltre, il salario minimo, secondo i due economisti, rafforzerebbe il potere contrattuale dei lavoratori, i quali, partendo da una base di contrattazione più alta, potrebbero facilmente ottenere salari più elevati rispetto alla soglia minima, spingendo quindi verso l’alto il livello degli stipendi dei lavoratori più abili. Infine, si afferma che il salario minimo non eliminerà la contrattazione collettiva, la quale potrebbe comunque permanere, come avvenuto in Francia e in Spagna, e aiutare ad avere un mercato del lavoro più competitivo ed equo.


… E le critiche


Il fronte del no è meno vasto ma vi spiccano figure come l’ex ministro Renato Brunetta, per alcune posizioni o l’economista Vincenzo Visco, i quali affermano che i salari per loro natura economica sono strettamente legati alla produttività dei lavoratori. Per questo motivo, l’inserimento di un salario minimo scollegherebbe i due concetti, rischiando di danneggiare sia le imprese di alcuni settori, che non possono allineare i salari a quello minimo perché eccessivamente oneroso, sia il merito, in quanto il salario, ora scollegato dalla produttività, non premierà più i lavoratori più abili.


Un’ulteriore criticità riguarda la scelta come soglia dei 9 euro all’ora, la quale sarebbe ritenuta troppo alta, scoraggiando quindi le assunzioni.


La critica più feroce, però, non è sulle teorie economiche, ma bensì sulla realtà del mercato del lavoro italiano, in cui 3 milioni di lavoratori (il 12% del totale) lavora attualmente in nero. Per chi lavora in nero non vi sarebbe la possibilità di chiedere un adeguamento del salario, in quanto non esiste contratto. A questo dobbiamo aggiungere il fatto che molti dei lavoratori che percepiscono uno stipendio sotto i 9 euro all’ora sono non regolarizzati; essi, dunque, non verrebbero direttamente aiutati dalla proposta, la quale risulterebbe vana. Vana o addirittura controproducente nel caso in cui altri datori di lavoro, rendendosi conto che assumere un lavoratore con salario minimo significherebbe ridurre eccessivamente i propri margini di profitto, decidano di aumentare le assunzioni irregolari, ampliando ulteriormente la forbice sociale tra ricchi e poveri.


Un’amara Conclusione


Purtroppo, è necessario accettare che il mercato del lavoro italiano ha una componente molto alta di lavoratori irregolari. Operai, braccianti, badanti assunti in nero non sarebbero aiutati dalla riforma, la quale rischierebbe non solo, come dice Giorgia Meloni in aula, di abbassare il livello dei salari, ma di avere un effetto devastante sulle assunzioni irregolari. La soluzione dovrebbe essere un aumento dei controlli, tuttavia essi restano complessi da effettuare e, in diverse situazioni, sterili. La direzione più corretta da prendere, prima ancora di riflettere sulla possibilità di inserire un salario minimo, dovrebbe essere quella di incentivare i datori di lavoro ad assumere in maniera regolare con tagli massicci al cuneo fiscale, strada già in parte intrapresa dal Governo. Il fatto che un lavoratore con un salario netto di 1500 euro al mese costi al datore di lavoro quasi il doppio è semplicemente scandaloso ed è il motivo principale per cui nel nostro Paese il lavoro irregolare ha raggiunto questi numeri. A oggi, dunque, il salario minimo non sarebbe in grado di risolvere i problemi strutturali del mercato del lavoro, almeno finché lo Stato non renderà effettivamente conveniente assumere lavoratori in maniera regolare.


Matteo De Guidi


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