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Venti mesi e ventimila Volontari, in memoria del Comandante Borghese

 

«Ben presto, da Spezia dapprima, e poi da tutta Italia, affluirono attorno a questa Bandiera Italiana – forse l’unica rimasta a riva dopo l’armistizio – dapprima centinaia, e poi migliaia e migliaia di giovani, tutti volontari per riprendere le armi e continuare il combattimento al grido: “Per l’onore d’Italia”»


Junio Valerio Borghese, La Xa Flottiglia MAS; 1945

 

Per approfondire:

Gianluca Padovan, Xa Storie e controstorie italiane, I e II vol., Associazione SCAM, Milano 2020. 


26 aprile 1945: Milano ammaina la bandiera


Alle ore 17.00 del giorno 26 aprile 1945 a Milano in Piazzale Fiume (oggi Piazza della Repubblica), la Xa Flottiglia M.A.S. ammaina la bandiera.


Tre giorni dopo il Generale di Brigata Comandante Giuseppe Corrado della Xa Flottiglia M.A.S. stipula un accordo con il Comandante della Brigata Mazzini “Martiri di Granezza” (“partigiana” o “parteggiante”) che si firma “Silva”. Ovviamente, perché sottacerlo, costui non ha né la buona grazia e tantomeno l’onore per riuscire a firmarsi con il proprio nome e cognome.


In primo luogo in Italia non esiste più il Governo Repubblicano da cui poter ricevere ordini. Ovvero, nel momento in cui si deve porre la parola ultima sulle vicende belliche, rendere onore ai soldati che hanno combattuto, preoccuparsi della loro salvaguardia e soprattutto fare sì che la situazione non degeneri a ulteriore aggravio delle pene per la popolazione civile, molti “capi” scappano senza lasciare ordini verso un fantomatico “ridotto valtellinese”. Poi su ciò che è accaduto ognuno vi rifletta serenamente. Ma onestamente.


Nel quaderno manoscritto del Comandante Borghese, “La x^flottiglia mas”, pubblicato da Effepi Edizioni, nel penultimo capitolo balzano all’occhio i seguenti passi riguardanti le proposte avanzate da Borghese nelle riunioni succedutesi tra 23 e 25 aprile:


«Premesso che la guerra è ormai finita e perduta, è nostro dovere prendere tutti i possibili provvedimenti perché l’ondata di deflusso germanica e quella di riflusso angloamericana passino sul nostro territorio arrecando il minimo possibile danno a persone e cose» (Borghese Junio Valerio, La Xa Flottiglia MAS, Effepi, Genova 2016, p. 69. Egualmente si veda: Nesi Sergio, Decima Flottiglia nostra…, Editrice Lo Scarabeo, Bologna 2008, p. 403-404).


Difatti si sa bene che nei momenti di vacanza dei poteri direttivi si possono scatenare pericolose operazioni di brigantaggio e sempre Borghese soggiunge:


«In tale modo ritenevo che non solo le vite umane si sarebbero risparmiate, ma si sarebbe assicurata la vita dei servizi pubblici di interesse nazionale, e preservati tutti i beni nazionali e privati, ferrovie, opere d’arte, centrali elettriche e telefoniche, fabbriche, magazzini ecc. Particolare timore destavano le bande di ladri, assassini e delinquenti comuni generici che – sotto l’etichetta politica (rappresentata generalmente da un fazzoletto rosso al collo) – avrebbero indubbiamente approfittato della situazione transitoria per condurre a compimento i loro criminosi piani» (Ibidem, p. 70).

 

L’epilogo di un principio:


La “piazza milanese” comincia a ribollire e Borghese scrive l’epilogo della Decima:


«Riunii tutto il personale e diedi notizia delle tristi decisioni che l’avversa sorte delle armi del nostro Paese – oramai definitivamente battuto e totalmente invaso – mi aveva costretto a prendere. Salutai i miei bravi marinai e dissi loro che li lasciavo liberi di continuare a servire la Patria così come la loro coscienza ed i principi che, in 20 mesi, la Xa aveva loro instillati avrebbe dettato.


Feci consegnare sei mensilità di paga ad ogni uomo. Feci consegnare alla Prefettura alcuni milioni di lire (11 mi pare) – rimanenza di cassa – ed i registri amministrativi. Al Generale Cadorna feci versare alcuni kg di oro e gioielli che la Xa aveva salvato dalle razzie della SS in Milano.


Alla sera del 26, ultimata la partenza dell’ultimo uomo e lasciando la flottiglia in buon ordine, varcai per ultimo la soglia – in divisa – passando davanti a due ceffi in fazzoletto rosso, parodia di sentinelle.


Così, in perfetto ordine, chiudeva la sua esistenza la sede milanese – e, analogamente, come poi seppi, con uguale ordine, onestà ed onore, tutte le altre sedi e gli altri reparti della Xa – dopo 20 mesi di onorevole vita – di valoroso combattimento per l’esclusivo bene della Patria per il quale era sorta e del suo popolo» (Ibidem, pp. 70-71).

  

Dalla testimonianza di Mario Bordogna:


Nel testo su Borghese e la Decima curato da Mario Bordogna leggiamo: «Il mancato incontro con Tucker, mancato sia a causa della prevaricazione tedesca e sia, occorre dirlo, per il discutibile comportamento di Graziani, ci fu fatale. Infatti, l’accordo armistiziale sottoscritto a Caserta tra Wolff e Alexander, con l’esclusione dei rappresentanti delle nostre Forze Armate, aveva avuto, tra gli intermediari, lo stesso capitano Tucker.


L’avvenimento, non ignorato dagli esponenti del C.L.N., li incoraggiò a respingere ogni possibilità d’intesa con il governo della Repubblica Sociale Italiana, forti anche dell’appoggio personale del cardinale Schuster, lo stesso che, durante il Ventennio, non si era peritato di tenere dotte conferenze ai corsi milanesi di “Mistica fascista”» (Bordogna Mario -a cura di-, Junio Valerio Borghese e la Xa Flottiglia MAS Dall’8 settembre 1943 al 26 aprile 1945, Ugo Mursia Editore, Milano 1995, p. 199).

 

Che farne dei combattenti?


Una serie di documenti ci mostra le questioni inerenti i trattamenti in materia giuridica da riservare agli ex combattenti della Repubblica Sociale Italiana. Ecco il testo di una prima lettera, male interpretata, datata 14 giugno 1945, proveniente dal headquarters allied military government lombardia region cremona province.



Essa recita che non dev’essere considerato prigioniero di guerra chi figuri nell’elenco e tra questi vi è la Xa Flottiglia M.A.S.:


«oggetto: Organizzazioni Fasciste Repubblicane / al presidente e pubblico ministero della corte di assise speciale / al questore di cremona /


1. Si sono ricevute istruzioni che gli appartenenti a certe organizzazioni non saranno considerati Prigionieri di Guerra. /


2. Esse sono: Brigate Nere / Legione Ettore Muti / SS. Italiane / X Flottiglia Mas / Servizio Italiano S.D. / Polizie Speciali / O.V.R.A. / Ausiliarie di tali forze. /


3. Il personale di tali organizzazioni sarà lasciato in custodia alle Autorità Italiane per il processo e le disposizioni dei Tribunali Italiani secondo la legge Italiana, cioè, nelle Corti d’Assise Speciali, nei Tribunali Militari o in qualche altro tribunale per la punizione dei criminali di guerra. /


4. Essi non saranno trasferiti nei Campi di Concentramento per prigionieri di guerra / per il Commissario Provinciale / l. a. sylvester, Capt. / Ufficiale Legale Provinciale [firmato in calce. N.d.A.]».

 

Sempre in data 14 giugno 1945 ecco il chiarimento dall'headquarters allied military government lombardia region apo 394 Legal Division, a proposito della precedente male interpretata comunicazione.



Pertanto si ricorda come in base a una direttiva i già menzionati corpi combattenti (tra cui ovviamente vi è la Decima) siano da considerarsi a tutti gli effetti prigionieri di guerra:


«Ref.: leg/5005   14 giugno 1945

oggetto: Posizione delle persone già appartenenti alle organizzazioni neofasciste.

A: S. E. il Primo Presidente della Sezione della Corte di Cassazione

S. E. il Primo Presidente della Sezione della Corte d’appello di Milano

S. E. il Primo Presidente della Sezione della Corte d’appello di Brescia


1. In vista delle questioni sollevate riguardo la posizione dei membri di certe organizzazioni repubblicane fasciste trovantisi in istato d’accusa per reati avanti alle Corti d’Assise Straordinarie, desidero richiamare l’attenzione di V.E. sul seguente estratto di una direttiva sul medesimo argomento emanata dalla Commissione Alleata:


“Nel settembre 1944 il Governo Italiano acconsentì a che gli italiani neofascisti, in uniforme e organizzati di conformità alla legge internazionale, che fossero catturati dagli Alleati dovevano essere soggetti al trattamento come prigionieri di guerra secondo la Convenzione di Ginevra nello stesso modo come i prigionieri di guerra germanici.


Il termine “neofascisti” comprende tutti i fascisti italiani che combatterono per il Governo Repubblicano Fascista nel periodo successivo all’Armistizio Italiano.


L’accordo di cui sopra non contempla la presa in custodia o sotto controllo degli Alleati di Italiani neofascisti ancora latitanti o trovantisi sotto custodia di Autorità Italiane. Al contrario, questi devono essere lasciati sotto custodia italiana e, qualora le Autorità italiane desiderassero istituire procedura penale contro di essi, dovranno rimanere in attesa di processo od altra disposizione in conformità alla legge italiana. A questo riguardo appare opportuno richiamare l’attenzione delle Corti Italiane dell’esistenza dell’accordo del settembre 1944 in quanto stabilisce che tali procedure non dovrebbero venir istituite in base alla sola motivazione costituita dal fatto dell’aver combattuto nei ranghi delle forze neofasciste.


Consegue da quanto precede che, ove tali neofascisti fossero già stati rimossi dalla custodia italiana per essere trasferiti nei campi per prigionieri di guerra o campi di concentramento, mentre sono richiesti dalle autorità italiane allo scopo di processarli per reati gravi (e non già per il solo fatto della loro appartenenza ad organizzazioni neofasciste), essi dovranno essere riconsegnati alle autorità italiane per il processo.


Si sono verificati in Lombardia certi casi nei quali persone sottoposte a processo avanti le Corti Italiane sollevarono eccezione sostenendo di essere fuori dalla giurisdizione di dette corti in virtù della loro condizione di prigionieri di guerra. In casi consimili le Corti debbono essere informate che trattasi di questione riguardante esclusivamente la legge italiana, con la quale l’accordo suddetto può avere forse qualche rapporto, e che gli Alleati non hanno ragione di intervenire.


2. Come si osserva, l’ultimo paragrafo conferma l’opinione già data da questo Quartier Generale ed è sperabile che la posizione legale sia ora così chiara da eliminare ogni ulteriore difficoltà.

Fto h.m. dickie   w/Cdr. r.a.f.

Regional Legal Officier».

 

 

Che farne degli idioti di oggi?


Il Comandante è stato ucciso mezzo secolo fa. Ma il suo ricordo non si è minimamente spento. E così ne ricordo la scomparsa avvenuta quel 26 agosto 1974, a Cadice.


Che fare oggi? Oggi è nostro fermo dovere conoscere.


Perché conoscere?


Perché conoscendo i fatti ci si rende conto che ben poche persone si salvano dal giudizio.


Ed è bene conoscere ad ogni costo… se non si vuole soccombere alla marea che ci vuole cancellare perché composta da individui i quali non sono minimamente all’altezza di concorrere sul piano culturale, filosofico, religioso, nazionale e sociale.


Lui ha fatto il suo ben oltre le umane possibilità.


Noi facciamo il nostro almeno nelle umane possibilità.


Avanti tutta!


 di Gianluca Padovan


Testo di riferimento:


Gianluca Padovan, Xa Storie e controstorie italiane, I e II vol., Associazione SCAM, Milano 2020.




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