Esattamente 78 anni fa, il 18 agosto 1946, si consumò la strage di Vergarolla, considerata la prima (e la più sanguinosa) strage terroristica nella storia della Repubblica, su cui per troppo tempo è calata una cortina di silenzio.
Era una domenica di sole e sulla spiaggia di Vergarolla, a Pola, erano accalcati circa duemila polesani, intere famiglie e molti bambini, per assistere a un’importante manifestazione agonistica. Si trattava delle tradizionali gare natatorie per la Coppa Scarioni, organizzate dalla società dei canottieri Pietas Julia. L’evento aveva l’intento di riaffermare il legame di Pola con la madrepatria, infatti, il quotidiano cittadino L’Arena di Pola lo pubblicizzò come una sorta di manifestazione di italianità.
Sulla spiaggia c’erano 28 bombe antisommergibile e testate di siluro, abbandonate da tempo, ma non facevano paura, infatti, la popolazione sapeva che erano state disinnescate ed erano considerate così parte del paesaggio al punto che i bambini ci giocavano ogni giorno a cavalcioni e le madri vi stendevano i costumi da bagno ad asciugare. Ore prima, però, una mano assassina le aveva riattivate.
Alle 14:15 si sentì come uno sparo di pistola, poi si scatenò l’inferno: esplosero tre testate di siluro, quattro cariche di tritolo e cinque fumogeni. L’esplosione causò un boato che si udì in tutta la città e da chilometri di distanza si vide un’enorme nuvola di fumo. I resti di un centinaio di persone arrossarono il mare e ricaddero a brandelli sulla pineta per centinaia di metri.
Morirono circa cento persone, di cui solo sessantaquattro furono identificate. Un terzo delle vittime erano bambini.
In un primo momento a finire sul banco degli imputati furono gli inglesi, attaccati dalla stampa locale e dal vescovo di non essere stati capaci di garantire la sicurezza. Ma per la comunità italiana non c’erano dubbi, la strage si inseriva nella tensione alimentata dalla Jugoslavia di Tito.
L’inchiesta su Vergarolla venne avviata dalla polizia di Pola il giorno dopo la strage e poi passò nelle mani della Corte Militare Alleata. Ne emerse un’inchiesta frettolosa e superficiale, quasi esclusivamente concentrata sulla pericolosità delle mine. Durante le indagini non si parlò mai del movente.
Il "risultato" dell'indagine fu accertare che il materiale bellico fosse stato innescato e quindi fatto esplodere intenzionalmente ma, oltre a questo, non ci furono altre dichiarazioni in merito, tutte le carte dell’inchiesta furono segretate. Da allora non si ha ancora una verità ufficiale.
Dalle ricostruzioni sembrerebbe che la data e il luogo della strage non furono scelti a caso: proprio il giorno precedente, il 17 agosto 1946, a Parigi si chiudeva la sessione plenaria della Conferenza di Pace e le grandi potenze vincitrici si accingevano a ridisegnare la cartina geografica dell'Europa e in particolare dell’Italia sconfitta, che avrebbe ceduto le terre istriane popolate in gran parte da italiani alla Jugoslavia di Tito. Il maresciallo Tito voleva le terre e i beni ma non il popolo italiano.
L’attentato sulla spiaggia fu pensato per terrorizzare e fare scappare la comunità italiana, il messaggio era chiaro: agli italiani non restava che l’esodo.
Federica Borsi