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Zaia e Cappato hanno perso: l'eutanasia è in fine vita?

Nel Veneto dei campanili, degli spritz, delle processioni sante e delle bestemmie urlate, la giornata di ieri ha visto succedere qualcosa che chiamare improbabile è dire poco: la medicina del Doge Zaia, il farmaco della buona morte, ha sciolto i corpi politici dei partiti disgregando questi agglomerati politici in atomi-consiglieri che, ricomposti dagli anticorpi secondo la struttura dell’idea e del giusto, piuttosto che quella vecchia del partito, hanno saputo sorprendere gufi e previsioni con il loro «No!» all’eutanasia.


È così che buona parte della Lega veneta, la Guardia di Zaia, ha disubbidito coraggiosamente al Governatore e che la coraggiosissima Anna Maria Bigon, Consigliere regionale del PD, ha sfidato il suo partito, e più in generale il fronte progressista, che ora ne chiede la testa, nel nome del buonsenso e del diritto alle cure palliative. [1]


La vittoria, però, è pirrica, 25 a 25, e c’è poco da festeggiare: la Lega, il secondo partito di Governo, è spaccata sulla dignità di ogni vita e sul dovere di offrire una alternativa alla morte; Luca Zaia, l’uomo a cui a destra tutti guardano quando l’ennesima buffonata di Salvini [2] invita a pensare al dopo, è un borghese illuminista, radicato nel Veneto dei lavoratori quando si trattati di materia, industria e commercio, ma pronto a tradirne la fede, la storia ed il sentire profondo. La Lega, che aveva goffamente provato a calzare, su di un piede solo, la scarpa della Tradizione, torna oggi, con la scusa del potere e dell’amministrazione, al progressismo stomachevole e improvvisato del Senatùr.


La Proposta di legge di iniziativa popolare:


Zaia, nonostante la sconfitta, è un politico abile e sa perfettamente che, a prescindere da tutto, è bene che un notabile del centrodestra non sia il promotore diretto di iniziative di legge chiaramente progressiste e infatti, nonostante l’impegno profuso con cui ci si è dedicato, dietro la proposta non c’era lui.


Da qualche anno a questa parte, quando in Italia c’è odore di zolfo, si tratti di aborto, gender o eutanasia, si può star tranquilli che dietro ci sia Marco Cappato, erede di Pannella, di cui però sembra aver abbandonato le battaglie trasversali per ammiccare solo alla sinistra e di cui i militanti di Destra dovrebbero fare studio costante per la grande lucidità, la chiarezza comunicativa e l’abilità partigiana, tutto prestato al male e proprio per questo da apprendere, che tanto mancano al nostro mondo abitato da uomini buoni e goffi.


Lo strumento di Cappato anche in questo caso è stata l’arcinota Associazione Luca Coscioni che nel quadro del progetto Liberi Subito, attivo in tutte le regioni, in Veneto ha raccolto 9.062 firme presentando così la Proposta di legge regionale Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale.


Le richieste della proposta sono piuttosto auto esplicative: sullo sfondo della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che regolamenta il via libera al suicidio medicalmente assistito secondo determinate condizioni, l’Associazione richiedeva che l’Azienda sanitaria, verificata la presenza dei requisiti, fossero obbligate a fornire farmaco e strumentazione entro 7 giorni dalla richiesta della prestazione.


Matteo Respinti


[1] «Zaia sa benissimo che la competenza è statale e l’unica cosa che possiamo fare è investire sulle cure palliative. Io avevo presentato un emendamento al Bilancio per potenziare quelle cure, erano 20 milioni, ma è stato bocciato!».

[2] Che, buffonate o non, così si esprime sul tema in questione: «la posizione mia è chiara, la vita va tutelata da prima della culla alla fine, per quanto riguarda il Veneto sul fine vita c'è stato un voto e questa è democrazia e in democrazia hanno vinto i no. Avrei votato anche io in quel senso lì».

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